martedì 16 marzo 2010

A Rita piace Ibsen


Helmer: […] Ma nessuno sacrifica il suo onore per coloro che ama!

Nora: Lo hanno fatto centomila donne.

Helmer: Non è vero di che doveri stai parlando?

Nora: I doveri che ho verso me stessa. [….] Credo di essere prima di tutto una creatura umana al pari di te.


tratto da "Casa di bambola"di Ibsen (Atto III, dialogo tra Nora e Torvald Helmer)

5 commenti:

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  2. Leggendo Ibsen ti accorgi della realtà che c’era a quei tempi e che purtroppo tutt’ora si trova nelle zone d’Italia più antiche e ignoranti come l’estremo sud.

    Colpisce il cambiamento della protagonista, quando si trasforma da semplice donna “bambola” in una donna a tutti gli effetti, che prende in mano la situazione e dice finalmente “ basta ! “.
    Non restano molte parole per esprimere la verità che si intravede in ogni affermazione di Nora. Una persona stanca di essere trattata come una bambola di porcellana da mettere in bella vista agli ospiti e ai colleghi del marito. Una donna che comincia a sentirsi realmente tale una volta che ha aperto gli occhi scoprendo come il marito non sia altro che un falso ipocrita, buono solo a credersi l’aquila che salva la sua “rondinina” e la stringe fra le sue ali. Perché gli uomini hanno molte volte questa fissazione di sentirsi così superiori da credere di essere i protettori delle povere e deboli donne??!

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  3. Una donna non deve ritenersi inferiore dall’uomo solo perché deriva, come dice la religione, da una sua costola, anzi si trova proprio sotto il cuore di un uomo perché deve essere amata e prende le sue sembianze dal piede per essere calpestata. Queste sono parole che ho avuto modo di leggere da qualche parte, scritte in modo differente e più bello da leggere ma che mi hanno lasciato il segno perché corrisponde alla realtà. Ora riporto il tipico dialogo che si può notare fra due persone, senza indicarne il sesso, l’età o la parentela/amicizia:



    R: Auguri, oggi è la tua festa!

    D: Perché è la mia festa?

    R: Come perché? È la festa della donna oggi.

    D: Io non mi sento una donna

    R: Perché dici questo?

    D: Perché non sono indipendente anzi, sono rimasta come mio marito ha voluto fin dall’inizio che io fossi, ignorante, senza patente, senza un lavoro ecc. Non mi sono mai neanche sentita amata. No, questa non è la mia festa, perché non mi sento una donna.

    R: è qui che sbagli. Oggi si ricordano le donne che come te hanno subito varie ingiustizie, o cose ben peggiori all’interno della propria casa o all’esterno. In questo giorno, sono morte molte donne per rivendicare i loro diritti, il loro essere eguali agli uomini e non deboli. Oggi, si cerca di dare aiuto proprio a donne che come te non hanno raggiunto l’indipendenza che non sta solo in quella economica, ma riguarda anche una cosa ben maggiore come la libertà di opinione, di votare, di fare ciò che l’uomo fa, di essere considerata una persona e non un oggetto che serve alla riproduzione. Non un animale. Non una schiava che tiene in ordine la casa e si occupa dell’educazione dei bambini. Tu come tutte le altre donne hai diritto a ribellarti a tutto questo. Hai diritto ad essere libera.

    Questo episodio sfido chiunque a dire che non si verifichi continuamente nella nostra società. Anche se spesso non c’è una persona che dona alla donna sconsolata una risposta come quella scritta per ultimo, che condivido in pieno non solo perché rispecchia il mio pensiero ma anche quello di molte altre persone. Infondo a volte si tratta solo di saper scegliere e trovare le parole giuste cosa molto difficile e a volte impossibile.

    Per concludere, non posso che congratularmi con uno scrittore come Ibsen, per aver avuto – visto i tempi in cui è vissuto – il fegato per scrivere una realtà non accettabile per la società di allora e purtroppo a volte anche per quella di oggi.

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  4. A proposito di donne, mi vengono in mente le tragedie delle protagoniste afghane di Mille splendidi soli e dell'indiana Chandra (IL DESTINO DI CHANDRA)... LEGGERE PER CREDERE!

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  5. Le donne afghane sono tutte o quasi vittime di questo schiavismo ingiustificato. Come nel romanzo "Sorelle" di Shoabhaa Dè.

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